Il corridoio d'onore del Quirinale, aperto in occasione della cerimonia della Giornata internazionale della donna, è allegramente punteggiato dai disegni degli studenti, partecipanti al concorso "Il coraggio delle donne" indetto dal ministero dell'Istruzione. Spicca l'opera di Giacomo Bianchi,classe III A dell'Istituto comprensivo Bonazzi-Lilli di Perugia: una donna con un bimbo in braccio è bombardata dai modelli correnti imposti dalla cultura popolare. Rossetti e trucchi si trasformano in proiettili, perché le impongono un ideale di bellezza artificiale e irraggiungibile. Dall'altro lato, le munizioni sono costituite da scopa e aspirapolvere, che inchiodano al ruolo di angelo del focolare e fanno sentire inadeguata chi non si identifica nel ruolo.
Belle e significative anche le altre opere pittoriche esposte, sempre sulla condizione femminile. Le premesse della cerimonia, quindi, sono ottime: i giovani sembrano aver colto appieno lo spirito di quest'8 marzo che solo erroneamente è considerato una festa, mentre è una giornata della memoria e della gratitudine verso le tante pioniere che hanno aperto la strada ai diritti civili per le donne. E della riflessione per i tanti obiettivi ancora da raggiungere, sulla strada delle pari opportunità.
Poi, però, parlano in diretta tv i premiati della sezione storico-documentale. Intervistati a caldo, sfoggiano idee confuse sulla condizione femminile. Una bimba (pazienza, è giovane…) dice che le donne non potevano votare e facevano bene a scrivere sui muri. Roba del passato, quindi. Un altro, un po' più grandino, afferma che, per migliorare la situazione, lui sarebbe disposto a dare molti soldi, se fosse ricco come Paperon de' Paperoni. Tipica visione consumistica da bimbo con la paghetta prematura. L'ultimo studente, delle superiori, spiega che con le compagne c'è assoluta parità e che tra i giovani non si parla mai di possibili discriminazioni future.
Beata ingenuità. Le statistiche affermano che, nella corsa verso il migliore posto di lavoro, il giovane in questione verrà battuto nella fase formativa dalle sue compagne, che si laureeranno prima e con un voto superiore. Che lui e le compagne saranno assunte insieme (ma alle ragazze spesso verranno fatte domande poco pertinenti sugli impegni sentimentali e su future gravidanze). Ma che poi lui farà in media più carriera, guadagnerà più soldi, avrà figli senza alcuna conseguenza sul lavoro. Per raggiungere questi stessi obiettivi, le sue compagne dovranno sempre dimostrare di essere più brave di lui. E spesso otterranno meno. Per discriminazioni, pregiudizi, ma anche per incapacità di farsi cooptare in incarichi assegnati da uomini, di solito appannaggio di uomini. Il ragazzo in questione lavorerà (sommando i tempi di lavoro a casa e in ufficio) dalle due alle cinque ore in meno delle sue compagne (e dirà spesso che è stanco, mentre le compagne raramente se ne lamenteranno, chissà perché).
Però, nessuno si pone ancora il problema dei gap occupazionali e retributivi tra uomini e donne in Italia. Non se ne sono ancora accorti. Speriamo che non se ne accorgano mai. Non perché ciechi. Ma perché magari questi squilibri, quando loro occuperanno posizioni di rilievo nella società e nel mondo del lavoro, magari non esisteranno più. Intanto, però, esistono. Ed è allarmante che i giovani non se ne rendano conto.
